27 ottobre 2011

LUCCA



Uscirà a Lucca Comics, per l'editore Comma 22, e io sarò li a fare le dediche se volete passare a trovarmi!! :) (Padiglione Napoleone!)

Io arrivo domani, e ci resto fino Lunedi!

Ci vediamo, quindi!

25 ottobre 2011

Dream: istruzioni per l'uso


Siete mai stati a Venezia?
Vi spiego un paio di cose.

Anche se voi veniste a Venezia e giraste a piedi, con cura, tutte le strade, calli, campi e vicoletti percorribili, avreste visto solo il 15% della città. Esiste, infatti, un altro buon 5% di meraviglie la cui vista è preclusa anche ai cittadini stessi (sto parlando magari di corti private, labirintici giardini alle entrate dei palazzi ecc..), poi c'è un altro 15% che è la città vista dalla barca. Salite in barca, e girate tutti i canali e i rii possibili, e vi ritroverete in un mondo che nemmeno vi immaginate. E poi c'è il 15% rappresentato dai tetti. Il guardare Venezia dall'alto di un'altana. Bene siamo arrivati al 50%, e l'altra metà? Prendete tutte queste esperienze e vivetele di notte, alla luce dei lampioni, o coccolati dal buio profondo dell'acqua (non intendo mentre state affogando!!! ma, appunto dal "buio" dei canali visti dalla barca), e potrete dire di aver vissuto Venezia al 100% (no, non vale farlo in Assasin's Creed).

Ecco.
Ascoltare i Dream Theater, significa più o meno questo. Non ci si può limitare di credere di scaricare i files (ho comprato il disco su Itunes), premere play e ascoltarli dalle casse del computer mentre si lavora. Questo rappresenterebbe solo il 15% dell'ascolto e della comprensione possibile. Per metabolizzare un disco dei Dream bisogna ascoltarlo in diversi contesti e addirittura in diverse "qualità", perché ogni disco è un discorso complesso, che va digerito a frammenti, e ogni frammento deve essere percepito nello "spazio" e nel "tempo" giusti.

E già  al giorno d'oggi  è difficile parlare di "disco", mi sono appena reso conto. Perché, almeno così capita a me, ormai si è abituati a scaricare "singoli", comprare una canzone per volta, la maggior parte dei musicisti cerca di investire completamente tutto su 1 solo pezzo, e tutto il resto è contorno. Questa volta, invece, mi sono reso conto quanto, quando si parla dei Dream, sia ancora importante il concetto di "sequenza di canzoni", di "album", di "playlist".

Il metodo che uso, per apprezzare un disco dei Dream è il seguente (lo so, sono sempre così fastidiosamente "matematico", ma in realtà è perché, al fine di raccontarvelo sul blog, tendo a razionalizzare ciò che di solito, invece, vivo "spontaneamente"):

- Primo ascolto totale e completo del disco. Le canzoni me le ascolto in ordine, per capire se fra di esse c'è già qualcosa che mi colpisce subito. In questo caso no, non c'è stato nulla che mi ha colpito, e infatti, tendenzialmente, parto sempre sfiduciato.

- Ascolto le "ballads", perché so che, tanto, i Dream sono bravi a scriverle e quindi, in qualche modo, mi prendo lo "zuccherino" per addolcirmi l'apparente "delusione" al disco. Da quando esiste facebook, pubblico i miei commenti, anche i più "grezzi" e "superficiali", per vedere se c'è qualcuno che la pensa come me o diversamente (un "aiuto" in più non fa mai male).

- Ascoltando le ballads generalmente riesco a intuire subito qual'è il mood del disco; dalle canzoni lente, quindi, mi sposto subito su quella, più "complessa", che gli si avvicina, come se fosse un "anti-ingresso" all'album..sto andando ancora con i piedi di piombo, e sono sempre "a rischio" che l'album mi faccia cagare.
L' "anti-ingresso" all'album dei Dream, questa volta è stata questa canzone qua:



In questa canzone c'è tutta la tecnica dei Dream, ma "ammorbidita" da una melodia piacevole e "aperta", trionfale. Fino al minuto 5.00 puoi assaporare, senza compromessi, l'abilità e il gusto dei più "classici" Dream Theater, ripercorrendo acusticamente la loro storia da "Images&Words" fin qua (si, sono un fan del primissimo minuto, da When Dream and Day unite, e anche ho un album precedente che si intitola Instru-Mental, quando ancora non avevano nemmeno Dominici alla voce). E' dal 5^ minuto in poi, però, che ci si gioca tutto. La parte strumentale. Se sei un fan accanito la ascolti con fiducia, se sei un ascoltatore disattento e ti sei avvicinato ai Dream in occasione di questo disco, rischi di chiudere tutto e riporre il disco sullo scaffale.
Di solito questa parte è tutta nelle mani di Petrucci e del tastierista "di turno" (ormai Rudess) e della loro abilità nel comporre.
Petrucci, nei dischi precedenti ha avuto alti e bassi, ma non mi ha mai realmente soddisfatto (complice anche la piega "trash" che aveva preso il sound della band negli ultimi album), ma qui è in stato di grazia.
Rudess che io non ho mai amato, fa il suo "sporco lavoro", si diverte a voler cambiare 1000 strumenti in pochi secondi, ma io sono carnalmente innamorato di Kevin Moore (che per me, assieme a LaBrie, era la vera anima dei Dream), e quindi il mio giudizio è "fazioso".
In ogni caso Petrucci è talmente ad alti livelli, che posso tranquillamente accettare di tutto, anche il fatto che non ci sia Moore nella band.
Se superate questa parte strumentale, al minuto 8.40 tornate "sulla soglia" dell'album. Quando avete iniziato ad ascoltare "Breaking all Illusions", nei primi 5 minuti della canzone eravate nell'anti-ingresso, sulla soglia dell'album, ma fuori; dai minuti 5.00 ai minuti 8.40, la vostra mente non ha ben capito cosa stesse succedendo, dai minuti 8.40 fino alla fine della canzone siete nuovamente sulla soglia ma vi guardate attorno, c'è qualcosa di strano. Ecco! l'avete capito, non siete più nell'anti-ingresso, siete sulla soglia, ma dentro.

- Ciò che faccio dopo è continuare ad "ascoltare" ciò che i 5 hanno da raccontarmi, e comincio a rendermi conto che ogni canzone è legata a quella precedente e a quella dopo, e non diventa altro che un puzzle di 9 pezzi iniziato e "semplice" da risolvere. Considerando che le ballads non le considererò più per un bel po' di tempo (nelle ballads bisognerà infondere un "significato" intimo e personale, per digerirle come si deve, e questo lo farò solo ad una fase successiva all'ascolto, che poi vi spiego), ciò che viene prima e ciò che viene dopo di "Breaking alla Illusions" sono: "Outcry" e "On the Backs of Angels" (si, considero questa, perché ascolto il disco a ripetizione), e non mi è difficile metabolizzare anche loro, e fare lo stesso "giochetto" della "canzone prima e canzone dopo" anche per il resto dell'album.

- Una volta apprezzato l'intero album dall'ascolto su computer, mentre lavoro (e non ho detto che sono già felice di averlo preso), mi considero al 40% dell'ascolto, si perché ora inizia la fase "cuffiette". Ipod alla mano e musica sparata direttamente dentro le orecchie. E' come vedere Venezia dalla barca. Ci si rende conto di un milione di altre cose, sfumature, timbri, accenti, dettagli.
E' in questa fase, per esempio, che inizio il mio rapporto con Myung (il basso) e Labrie (voce). Ed è in questa fase che mi si apre totalmente il "mondo" dei Dream. (In questo preciso momento, sono a questo punto dell'ascolto).

- La fase successiva, e praticamente "ultima", è il guardare Venezia "di notte". Passo l'album su cd, vado via in macchina e me lo ascolto viaggiando. E' qui che le ballads cominciano ad avere un senso. E' qui che l'esperienza umana del "movimento", riempie di sensazioni e luci le canzoni dell'album. Ho ricordi nitidi, di strade, di stazioni di servizio, di città, per ogni canzone dei Dream. E' un discorso personale, ovviamente, un punto di vista diverso da tutti, una lettura "privata" del disco, che entrerà a far parte della mia vita attraverso le esperienze della stessa.

Al punto in cui sono ora, quindi alla fase "cuffiette", pre-macchina. La mia canzone preferita è questa:



Scusate i refusi!

EDIT: Curioso che, inconsciamente, non abbia scritto nessun cenno al cambio di batterista e al lavoro, appunto di Mangini. Segno che, come scrissi un giorno su facebook, ormai considero i Dream come un "organismo" vivente in continua evoluzione; non punto il dito contro il cambio di un membro, in effetti, mi basta che l' "organismo" continui a pulsare e a vivere e, anzi, ogni occasione è buona per cambiare strada e sperare in nuovi obbiettivi sonori da raggiungere. I Dream, in fin dei conti, sono l'unica band che scrive, veramente, Progressive Metal.

Troiaio

Nonostante a Conches abbia tentato di avvelenarmi, (quasi) convincendomi a mangiare delle merdose cozze dalle quali uscivano esseri viventi non ben definiti, ho voluto abbastanza bene a Caluri.

20 ottobre 2011

E' una questione di stile.


Sicuramente, nel lavoro del disegnatore, la colonna portante del  professionismo e della tecnica, è rappresentata dalla conoscenza delle regole e della loro applicazione. Creare un fumetto è un processo lungo e faticoso che deve essere necessariamente smembrato in varie fasi (il metodo), pena il non saper gestire in maniera chiara tutti gli elementi che concorrono alla creazione di una buona storia disegnata: la narrazione, il ritmo, la leggibilità, le anatomie, le prospettive e chi più ne ha più ne metta. 

Nei miei corsi non parlo mai direttamente e chiaramente della ricerca di uno stile personale, mi spaventa l'idea che gli allievi possano essere  distratti, nella loro fase di apprendimento più importante, dalla volontà di infrangere subito le regole
Per molti versi lo stile è un percorso spontaneo e intimo, che non ha necessariamente bisogno di razionalizzazioni, prima o poi uscirà, insomma.

Da un po' di tempo a questa parte, invece, ho cercato di razionalizzare ciò che ho appena detto che secondo me non è necessariamente razionalizzabile :D. Ovvero, è chiaro che ai miei corsi non devo suggerire agli allievi di esprimere fin da subito se' stessi (farei loro bypassare una fase di studio fondamentale, e si ritroverebbero, dopo un po' di anni, a non saper  disegnare un'anatomia corretta), è chiaro che il percorso di studio degli allievi deve rivolgersi all'apprendimento delle regole base del nostro lavoro, per diventare  almeno, dei bravi professionisti, è vero che lo stile è una cosa intrinseca e spontanea, ma è pure vero che ognuno è libero e responsabile di fare quel cazzo che gli pare, e personalmente e ultimamente, ho fatto un percorso ben preciso per ciò che riguarda la definizione del mio stile  che in realtà stile non è  e che in realtà,  molto probabilmente, mi ha portato in questi anni ad interessanti "sconfitte".

Come ho scritto da qualche altra parte, tempo fa (non mi ricordo DOVE e QUANDO), personalmente credo che la ricerca sia un susseguirsi di sconfitte, per arrivare ad un risultato che non hai ben chiaro in testa. Ma, occhio, non ne sto parlando in accezione negativa. Le "sconfitte" di cui parlo io, non sono sconfitte "professionali", "editoriali"(non sto parlando di numeri di vendita, pubblicazioni ecc.), sto parlando dello stato di disagio intimo che si prova quando si cerca di raggiungere un'idea "complessa", non troppo chiara nella propria mente, e per questo difficile da poter sublimare sul foglio da disegno.
Una volta ho letto in una rivista (continuo a non ricordarmi DOVE e QUANDO...e nemmeno QUALE rivista), che se si chiede ad un artista in quale percentuale l'opera "finita" si avvicina alla sua idea iniziale, di media risponde intorno al 30%. E quel 70% rimanente, che è ciò che credi di non aver saputo raggiungere, ti fa stare veramente male.

Nel corso di questi pochi anni di attività mi sono reso conto, ma è facile intuirlo, che lo stile di disegno coinvolge solo in piccola parte il disegno vero e proprio. Se si parla di fumetti è bene ricordarsi sempre che tutto parte dalla narrazione. Esistono specifiche inquadrature, quindi, per raccontare uno stile piuttosto che un altro, le inquadrature usate in Dylan Dog, per esempio, non sono funzionali in Topolino; se volete disegnare Manga non potete usare il modo di narrare Francese e così via. Sembrano banalità, ma sono effettivamente quelle banalità, appunto, di cui non ci si preoccupa, ma che poi a conti fatti determinano il successo o l'insuccesso della vostra ricerca.

Parlando con un'amica, oggi, mi è uscita una bella idea, su come si possa scandire, semplificandolo, il meccanismo della ricerca stilistica. Presupponendo il fatto che voi siete partiti da un'idea, che volete raggiungere, e dobbiate realizzare 3 tavole da presentare ad un editore, ho individuato queste 3 sottolineature:

- la prima tavola di "prova" la usate per muovervi "alla cieca" attorno l'idea che volete raggiungere
- la seconda tavola di "prova" è il "climax" della vostra ricerca, la concentrazione e la lucidità sono al picco massimo, centrate il punto
- la terza tavola di "prova" è la semplificazione e l'incasellamento dello stile. Con la terza tavola di prova create, cioè, il metodo per affrontare una catena di montaggio professionale, che vi porta a consegnare alla scadenza tot numero di tavole, realizzate con il vostro nuovo stile.

Una volta che siete riusciti a trovare le inquadrature giuste, il ritmo giusto, le "proporzioni giuste" per il vostro disegno  e la colorazione corretta che "chiuda" il vostro pacchetto stilistico, siete esausti.
Ed è come mi sento io in questo momento, dopo aver passato gli ultimi mesi a cercare una soluzione per raccontare una visionaria storia scritta da un'illustratore/sceneggiatore/uomo con i contro-coglioni di nome Carlo Bocchio (che in questo momento mi sa che sta rischiando di annegare, travolto dal nubifragio di oggi a Roma, ed è per questo che ne approfitto per parlare un po' di lui e del nostro progetto, anche un po' per onorare la sua eventuale memoria ;))))).

Nel nostro progetto, di cui ancora non posso dire quasi nulla, ho raccolto, come ho già scritto in precedenza, i semini gettati in "1066" che ormai in queste nuove tavole sono diventati dei veri e propri "frutti". Ho cercato di fondere il segno a matita e il colore a tal punto che non si arrivi a capire cosa è disegnato e cosa è direttamente colorato cercando, inoltre, di raggiungere un certo tipo di "visione cinematografica" nel risultato grafico finale, attraverso dei "trick" di cui ora non posso parlare.

La ricerca stilistica adottata è stata guidata dalla necessità di trovare nuove soluzioni grafiche da applicare al nostro tanto amato media, attraverso, ancora, la "colorazione digitale" come base di partenza per scandagliare territori visivi ancora da esplorare. Ho già parlato in precedenza dell'accettazione dello strumento, l'amore-odio che provo per il computer e per la stessa colorazione digitale che però, quando viene accettata, risulta essere un pretesto davvero interessante per adottare nuove soluzioni visive. E non sto parlando di Cintiq, eh. Quella verrà, SE verrà, molto dopo. Il punto, qui, è capire cosa può dare la colorazione digitale al disegno, in termini di tridimensionalizzazione, gestione delle luci, scultura delle immagini, creazione di spazio.

Ecco, la creazione dello spazio, potrebbe essere una parola chiave, sufficientemente "criptica" per accennarvi le mie intenzioni in questo nuovo progetto. Progetto che, spero, riuscirete a vedere pubblicato tra non molto.

18 ottobre 2011

Another Earth




Il trailer di questo film mi ha fatto letteralmente venire i brividi...(e no, questa volta non parlo della colonna sonora dei Cinematic..:) )

17 ottobre 2011

1066 e DEI a Montreal!


Alcune tavole di 1066 e Dei sono esposte alla Galleria "LAG" a Montreal. Gli originali sono tutti in vendita, se foste interessati..!

14 ottobre 2011

Che merda!


Non so se mi imbarazza di più questo, o Falling Skies.

Oggi, 14 ottobre, 945 anni fa...


...Guglielmo il Conquistatore combatteva per 14 ore, ad Hastings, conquistando l'Inghilterra permettendomi, quasi 1000 anni dopo, di realizzare 1066 per LeLombard.

Grazie Guglielmo!

13 ottobre 2011

Ci sono solo...

15 posti disponibili...


vi consiglio di affrettarvi a chiamare, non so quanti workshop riuscirò a fare quest'anno..:)

12 ottobre 2011

Ode ai collaboratori


Secondo me non li ringrazio mai abbastanza, sia in privato che pubblicamente. Eppure in tutti questi anni mi hanno permesso di realizzare i miei progetti, aiutandomi nella parte "più dura" del lavoro, quello di doverlo, effettivamente, realizzare! :)

E' sicuramente uno scambio reciproco, quello che mi lega ai miei collaboratori (quelli del fantomatico "Studio Tenderini"): a volte offro lavoro, puro e semplice, altre volte esperienza e accrescimento tecnico. La mia più grande soddisfazione è, ogni volta, vedere i loro progressi, i miglioramenti concreti che apportano sicuramente al mio lavoro ma che poi riescono a riversare anche nei loro progetti privati.

Ora ho due collaboratori che mi stanno aiutando a realizzare il secondo numero di Dei, una "tintapiattista", Guendalina Tessari e un "ambientista" (glob! non so che termine utilizzare per definire che mi aiuta a realizzare gli ambienti al computer), il sempre presente Federico Toffano!

Grazie veramente di cuore, a entrambi! :) e si va avanti! (abbiate pazienza, presto vi spedisco nuove tavole! ne sto "chiudendo" alcune! ;)

Un trailer...

...piuttosto potente.



Devo assolutamente comprarmi un bel paio di cuffie, per giocarci.

10 ottobre 2011

No, ma dico...è uno scherzo!?

Questa qui sarebbe Christina Aguilera?!?!?!






Foto, foto, foto!

Il caro amico Ciskije, mi segnala delle splendide foto, che vorrei condividere con voi!
Ne pubblico 3 qui sotto, il resto le vedete in QUESTO sito!




Ps: avete notato che ho cambiato per l'ennesima volta la grafica della testata del blog?  :D


07 ottobre 2011

La lezione di oggi, sul disegno...


...ce la da Linda Cavallini.

Omaggi

Il blog IphoneandGo.it, mi ha chiesto di realizzare un omaggio a Steve Jobs.
Ho realizzato questa semplice immagine in cui Steve viene colpito in testa da una mela, come nel famoso episodio successo a Isaac Newton.

Bye Steve!



05 ottobre 2011

Onestà o disonestà?


In un post di alcune settimane fa raccontavo come, durante una chiaccherata con amici e colleghi, fosse venuto fuori un discorso che riguardava Bastien Vives, ma che si poteva (e si è) allargare alla professione di fumettista in generale.
Nello specifico si disquisiva del fatto che secondo alcuni Bastien Vives stesse cavalcando l'"onda del successo" in maniera un po' "disonesta", semplificando, cioè, troppo il suo segno, con svogliatezza sapendo che tanto i lettori lo avrebbero seguito/letto ugualmente.

I "premi" conferiti ai disegnatori, in occasione di grandi festival internazionali, sono sempre un tema spigoloso a mio avviso, dove convergono un sacco di sentimenti differenti, alcuni legittimi altri un po' più "personali".
A mio avviso bisogna sottolineare subito una cosa: se vuoi ricevere un premio, devi fare un certo tipo di fumetto.  Se non fai quel "certo" tipo di fumetto, non puoi lamentarti se non ti hanno dato un premio, e non puoi, a mio avviso, giudicare chi il premio l'ha ricevuto. 
Il discorso "onestà" o "disonestà" è altrettanto spigoloso. Io, personalmente, trovo che ci sia inconfutabile disonestà solamente nel caso in cui un disegnatore si prende una foto e la ricalca pari pari, spacciandola per vignetta. (Sicuramente questa, per me, è la categoria peggiore di disegnatori, a prescindere da quanti filtri ci vuoi metter su per camuffarla).
Bypassato il discorso "photocopyer", entriamo nello sconfinato territorio del gusto personale, e delle "possibilità".
Si perché per fare questo lavoro, e farlo bene, ognuno di noi ha bisogno della "possibilità" di farlo, e della "possibilità" di esser visto da più lettori possibili. 
Fino ad oggi la "possibilità" te la dava l'editore, o te la davi da solo. In termini economici, sicuramente, il discorso abbraccia un margine di alternative maggiore (è l'editore che mi paga per disegnare, sono io che mi auto-produco il fumetto, sono gli sponsor che mi finanziano un progetto ecc.), per quanto riguarda i termini "promozionali", invece, lo spettro delle soluzioni è sicuramente più "esiguo" (per quanto io possa rompermi il culo ad auto-promuovere il mio lavoro, dubito di poter raggiungere la vetrina mediatica di tanti grandi editori come Disney, Bonelli, Marvel ecc..).
Ho scritto "fino ad oggi", perché è chiaro che la situazione sta volgendo verso altri tipi di "territori", quelli digitali, dove, sicuramente, i discorsi cambieranno radicalmente, prima o poi.

Fatto sta che il nostro lavoro, quindi, è ancora legato fortemente alla figura dell'editore, e il nostro talento, di disegnatori, deve darci la possibilità di avere "credito", dall'editore e dal pubblico.
La formula è "semplice": se io faccio un ottimo lavoro->l'editore investe su di me e mi fa conoscere al pubblico->i lettori mi "conoscono" e cominciano a leggere i miei fumetti->l'editore è contento perché i miei fumetti vendono bene e mi da credito->io posso realizzare i progetti che voglio in piena libertà (sono stato a cena con molti disegnatori da "centinaia di migliaia di copie", e ho assaporato, dai loro racconti e dal tono della loro voce, cosa significa veramente "libertà" creativa).

Dicevo, la formula è "semplice", in realtà non lo è. Perché che tu faccia un ottimo lavoro o meno, non è detto che l'editore abbia tempo, voglia e soldi da investire su di te, quindi puoi correre il rischio di "lavorare per poco niente". Ed è in questa situazione che si ritrovano moltissimi disegnatori, ovvero tutti quei disegnatori che "non hanno fatto il botto". Sia chiaro, "lavorare per poco niente", non significa fare la fame, elemosinare pubblicazioni gratuite o vivere da reietti della società, significa essenzialmente fare il proprio lavoro con la massima professionalità e passione, ma non ricevere, in proporzione, lo stesso "trattamento" dall'editore che ti pubblica (magari il suo ufficio stampa non ti caga, non ti invitano a fare le dedicaces ai festivals, non pagano il comune di Angouleme per affiggere ai muri la pubblicità del tuo fumetto durante il festival e così via...), tutte cose "naturali", che fanno parte del meccanismo dell'editoria, ma che ti permettono di vivere degnamente lo stesso, senza le quali, però, non si riesce a fare lo "scatto" al livello superiore.

Dove voglio arrivare con questo discorso? Arrivo al fatto che, molte volte i disegnatori di fumetti sacrificano anni della loro vita a "faticare" sulle tavole, per non avere una "risposta di pubblico" degna della propria fatica, ma ad un certo punto qualcuno "fa il botto", l'editore comincia a dargli credito, e il pubblico comincia ad adorarlo. Cosa fareste voi, in questo caso? Non vi sentireste liberi (come l'aria) di cominciare a sputar fuori tutte le vostre "idee nel cassetto", con la voglia assurda di parlare e comunicare e mostrare la vostra "arte", al "mondo" (vero e proprio) che vi legge? 
Ma sapreste farlo? Sapreste gestirlo? Sono tutte valide le vostre idee? Siete sicuri di saper centrare l'obiettivo sempre? e soprattutto ne avete gli "strumenti"? Si perché bisogna anche considerare che il "botto", se lo fai, non è sempre proporzionato alle tue abilità, e forse non si ha ancora il talento per poterlo "evolvere". E quindi, tra le tante cose, mi vien da pensare che un autore che fa "il botto", debba anche avere un certo coraggio, il coraggio di fare delle scelte che non rovinino la "posizione" che si è guadagnato. E secondo me, la scelta più "coraggiosa" che uno possa fare è proprio semplificare il suo segno. Cioè c'è gente che passa una vita alla ricerca della "semplificazione", e non ce la fa. Semplificare, con spontaneità, con naturalezza, correndo sempre il rischio di non esser "capiti". (che è più facile essere letti se si è rigidi e didascalici).

Bastien Vives, che è anche giovanissimo, secondo me  ha questo tipo di coraggio, ed è estremamente abile a gestirlo perché chi ha l' "occhio" da addetto ai lavori, non può non dire che Bastien non sappia disegnare! (tra l'altro l'ha dimostrato anche in fumetti come Hollywood Jan). Sotto il suo disegno c'è struttura, c'è senso della narrazione, c'è l'inquadratura, l'impaginazione, il gusto. Se poi, via via, semplifica, ricercando un segno sempre più fresco (ma povero), questo non significa che sia "disonesto" nei confronti di un pubblico che, in ogni caso, continua ad apprezzarlo. Perché, ripeto, secondo me è disonesto solo chi prende una foto e la ricalca.

Da autori abbiamo una responsabilità nei confronti del mercato e del pubblico che è quella di trascinare il medium a livelli sempre nuovi. Questa ricerca, è plausibile pensare porti a commettere errori in misura maggiore rispetto al non compierli adagiandosi sulle nostre certezze "tecniche", è più facile fare "sempre la stessa cosa", piuttosto che correre il rischio di fare una cosa "mai vista"; se poi vi rompe comprare un fumetto che costa 15 euro e che leggete in 15 minuti perché completamente privo di dialoghi, beh non compratelo!!!


04 ottobre 2011

Evocazione


In questo periodo sto preparando 2 progetti tra i più difficili che mi siano capitati (oltre a proseguire il lavoro su DEI 2, ovviamente).
Un progetto lo sto realizzando con uno sceneggiatore-illustratore che stimo in maniera sconsiderata, soprattutto perché è in primo luogo "un essere umano", nell'accezione più meravigliosa del termine (è raro, trovarne di tale fattura e integrità, di questi tempi).

In ogni mio progetto cerco sempre di pormi degli obiettivi di più alto livello, per gusto personale verso la ricerca. In questo progetto raccolgo quel paio di piccoli semini che piantai in "1066" e li risemino per far crescere qualcosa di veramente importante. Cercherò di riscrivere le (mie) regole sulla colorazione digitale, partendo da una "fusione" maggiore con il disegno e cercando di sviluppare ed evolvere un "effetto speciale" che mi sta veramente facendo perdere le nottate (maledetto me). Man mano, vi aggiornerò, ovviamente.

Il secondo progetto lo sto realizzando con qualcuno di cui non posso dire, per ora. Perché è una cosa, visivamente talmente potente (e il socio con cui la sto realizzando, lo stimo anch'egli in una maniera talmente spropositata), e negli intenti talmente "complessa", che devo andare un po' con i piedi di piombo. Se nel primo progetto la ricerca risulta spudoratamente drammatica, in questa storia stiamo cercando, invece, di renderla "accessibile". Nel primo progetto è il lettore che deve sforzarsi ("sacrificarsi") per comprendere l'immagine che gli stiamo proponendo, nel secondo progetto è l'immagine che dovrà trovare una chiave per farsi comprendere dal lettore. Non sarà un discorso di "semplificazione", ma di "metabolizzazione".
In questo progetto illustrerò a "2 mani" con il mio compagno d'avventura, quindi la difficoltà aggiuntiva sarà quella di fondere i nostri due stili in un unico risultato visivo.

In qualche modo, se vi mostro il video qui sotto, vi introduco già ad un certo "mood" (del secondo progetto),(...la sto prendendo lontanissimaaaaaa, ma fra un po' di tempo, quando leggerete la storia che abbiamo preparato, nel più profondo angolo della vostra mente, suoneranno e ruoteranno queste immagini, credo), (guardatelo in HD a tutto schermo!).