In Francia, a Caen, sono stato invitato sia per partecipare al festival letterario, con "1066", sia per tenere dei workshop bilingue (italo-francese) sul fumetto, in diversi licei della zona.
Quando nel primo liceo in cui entri, vieni accolto da questo cartello:
sai già che qualcuno, lassù, sta per lanciarti una sfida.
In questo caso, la sfida, è stata quella di riuscire a capire alcune cose che riguardano il mio lavoro.
Ciclicamente ho queste fasi di riflessione in cui mi domando da che parte devo andare e verifico la strada finora intrapresa.
Ero l'unico italiano in mezzo a 300 francesi e, stranamente, a questo giro non ho avuto nessun problema a capire e parlare il francese, per cui mi sono imbattuto in molti discorsi interessanti da "addetti ai lavori", che accompagneranno i miei pensieri per le prossime settimane.
Sembra, qualora non lo si sappia, che i francesi adorino l'Italia. Alt, lo so, tutti voi avete avuto esperienze "estere" di qualsiasi tipo, tutti voi vi siete interfacciati con inglesi, francesi, tedeschi, europei in genere e non solo, e tutti voi avete un'idea precisa di quella che è la percezione degli altri nei confronti dell'Italia e degli italiani. Questo post non vuole spezzare una lancia a favore di un popolo rispetto ad un altro e ho diversi motivi, tra l'altro, per non apprezzare completamente il mercato dei fumetti francesi, ma questa è stata l'esperienza circoscritta a questo week end e quelle poche "illuminazioni" (banali) che ho avuto mi mettono nella condizione di capire che le opinioni personali possono cambiare, ieri, oggi e anche domani.
Dicevo, i Francesi adorano l'Italia. Sono ormai consci del fatto che sappiamo fare meglio il caffè e non serve più che noi italiani ce ne lamentiamo ogni 2 minuti, sono loro, per primi, a rassegnarsi all'idea che non sarai contento del fine pasto. Uno dei tanti autori che ho conosciuto li, addirittura, si è preso la responsabilità di cercare il miglior bar di Caen e offrirmi continuamente dei buoni caffè, per dimostrarmi che, ormai, "loro sanno". E un po', vabbè, ci si intimidisce, perché sembra una presa per il culo...ma non lo è stata, ve lo giuro.
I francesi adorano l'architettura italiana e quando vedono un palazzo immenso esclamano: "questo, è in stile italiano, no?" e tu gli dici: "in che senso?" e loro: "perché è grande! voi avete tutti i palazzi grandissimi!". E pensi che da un certo punto di vista è anche vero, se vai a Roma, a Torino, in qualche zona di Milano; però poi gli dici che a Venezia le case e i palazzi non sono poi così enormi, e gli fai presente che forse sono loro, con la Tour Eiffel e il viadotto di Millau, ad avere la smania delle dimensioni (parlavamo di fronte il gigantesco palazzo del municipio di Caen, letteralmente incastonato in una cattedrale gotica, ed era evidente che non fossimo in Italia), e loro a risponderti: "si, forse è vero, ma anche voi; forse abbiamo tutti manie di grandezza". E questa "umiltà", che non voglio assolutamente vedere con occhi "romantici", ti colpisce, perché forse c'è davvero la possibilità di cambiare opinione sulle cose.
I francesi pensano che ci siamo moltissimi grandi disegnatori italiani ma trovano che, in ogni caso, il disegno italiano sia ancora molto accademico, ancora un po' "rigido", e qui viene il bello.
Si, perché c'è franchezza, stiamo dialogando, ognuno adora qualcosa dell'altro, non c'è competizione e c'è molta educazione e loro, degli "estranei", ti dicono che sono dispiaciuti del fatto che in Italia non ci siano editori che danno possibilità ai disegnatori di poter evolvere stilisticamente. Dare la possibilità significa creare lavoro, significa impiegare dei soldi per guardarsi avanti. E ti accorgi, appunto, che allora il corto circuito c'è veramente, a prescindere da quello che ci si può raccontare su Facebook. Ti accorgi che l' "italianità" è un modo di fare diffuso in tutti i settori del bel paese, che sono anni (di paura) che la gente, per non sbagliare, si guarda indietro. Tutti con le spalle al futuro, perché si crede che il futuro non ci sia, e quindi non si ha il coraggio di costruirlo, e quindi non ci sarà.
Poi capita che su facebook Davide ti posti un video di Hugo Pratt dove, il panzuto disegnatore riminese, spiega che fa fumetti perché vive a Venezia, che a Venezia si incontrano persone, c'è il "contatto" visivo con gli altri e quindi è spontaneo disegnare storie e che se fosse nato a Roma avrebbe, invece, fatto cinema; e tu pensi che non è vero niente, pensi che Pratt stia solo facendo discorsetti "in linea" con i suoi personaggi e le sue storie, che la realtà è che a Venezia ci sono 10 turisti per ogni veneziano, e che non è vero che hai il contatto con le persone, perché la gente cammina facendosi i cazzi propri non certo aspettandosi che tu sia li per salutare e parlare con tutti.
Però il video va avanti e vedi Pratt che disegna e a prescindere dal fatto che c'hai i coglioni rotti di Pratt, che a Venezia, se fai fumetti, te lo devi cuccare ad ogni evento, ad ogni iniziativa, vedi e pensi che lui con quelle pennellate stava facendo avanguardia e c'era gente che gli dava fior fior di soldi per inventare la sua avanguardia, e ripensi che oggi, a Venezia, se organizzi una mostra di giovani disegnatori e il giornalista ti chiama per scriverne un pezzo ti chiede: "ti secca se la intitolo: "i nipotini di Pratt?", altrimenti non me la pubblicano...".
Tutti a guardarsi indietro, tutti a guardare i "bei tempi" andati e i francesi, che non sto dicendo che sono belliebravi che ce la fanno sempre, almeno hanno il coraggio di parlarne, di questo futuro e che sorridono quando ti dicono: "peccato che voi, che siete bravi, siete ancora legati a certi codici". (Alt: io adoro moltissimi grandi disegnatori italiani, e penso che siamo i migliori al mondo!)
Allora si parla delle idee, si parla del digitale e delle nuove possibilità, ma con una certa consapevolezza che si vede che non deve fare i conti con il Vaticano.
Poi torno in albergo e se ero in Italia mi guardavo una puntata di questo, che da noi i poliziotti presentano la trasmissione sui pacchi e vogliono tanto bene al Papa:
ma siccome sono in francia, mi guardo una puntata di questo:
che loro non c'hanno paura di raccontare che i poliziotti si fanno di coca e uccidono le persone.
E allora, tornando ad utilizzare i tempi verbali giusti:
dove sto andando? in che contesto (non)lavoro? quand'è che avrò il coraggio di dire veramente la mia?
Ma la soluzione lo sappiamo, come sempre è quella di FARE, e non blaterare.
Nella prima stagione di Distretto di Polizia lo sbirro interpretato da Lorenzo Flaherty si faceva di coca...
RispondiEliminaMa ci scommetto che in un modo o nell'altro si sarà redento!!!! o ritiro tutto ciò che ho scritto!
RispondiEliminaDavvero un belissimo post (e affanculo la sintassi, il contenuto la supera ampiamente).
RispondiEliminaQuesto blog va oltre il semplice concetto di "impariamo a colorare i fumetti" in maniera straordinaria.
Complimenti Manu.
Ps: un mesetto fa, un po' dopo la morte di Moebius, ho fatto una piccola riflessione che un po' si riallaccia a questo tuo post.
Se hai voglia, dacci un'occhio.
http://angolodelmuro.wordpress.com/2012/04/10/il-pianeta-ancora/
hahah Manu io devo ancora capire se Pratt non ti piace o ti sta più sulle balle che lo tirano in mezzo per qualunque cosa :D
RispondiEliminase non fosse così iperpresente dappertutto lo apprezzeresti per ciò che ha prodotto?
comunque mi fanno sempre sorridere i discorsi come quello di Pratt sul contesto in cui sei inserito; nel senso che la differenza sta nella persona, non nel posto.
Conosco persone che vivono in un paesino sconosciuto meno sociopatiche di me che sto a Milano.
Io ho bisogno tanto delle persone quanto della solitudine, infatti e non mi ritengo assolutamente lo stereotipo del milanese. Anzi a dirla tutta,quando vedo la gente che corre dappertutto mi viene da legnarla (non possono essere tutti in ritardo! la fretta nel fare le cose,dal prendere il 12 al bere il caffè al bancone) e i posti glamour mi piace vederli una volta l'anno, tanto per avere la scusa di mettermi qualcosa di figo, ma deve essere l'eccezione!
Eppure... quando mi sono trovata adover scegliere se volevo vivere in un paesino di 500 abitanti in una vallata trentina mi è venuta l'angoscia. Devo poter SCEGLIERE di stare per cazzi miei, se invece è una condizione obbligata non mi piace più.
Ok mi sto perdendo: secondo me Pratt ha detto una cazzata a metà. Quando scegliamo o scartiamo dei posti, quella scelta e quella non scelta parlano di noi ;)
Bellissimo post Manu!
RispondiEliminaComunque Pratt parlava della sua Venezia, che era diversa sicuramente dalla tua, che vivi anche in un'epoca diversa!
"sai già che qualcuno, lassù, sta per lanciarti una sfida"
RispondiElimina:D lo ammetto...ho riso di brutto!
Se posso dire la mia,credo che il pregiudizio in generale,blocchi ogni forma di confronto,i Francesi adorano l'Italia?E perchè no?
Confronto,scambio culturale,umiltà,è piacevole accorgersi che non sono solo parole intangibili ma una realtà che compare in svariate occasioni.
Se non ci sono ingredienti come questi effettivamente è dura attuare uno "scambio",capire delle cose.
Credo che il problema alle volte, sia proprio nell'entrare in competizione,invece di confrontarsi positivamente, e nell'avere poca educazione(giudicare), invece di dedicare del tempo ad ascoltare un parere diverso.
Alle volte si chiede il cambiamento agli altri ma quanto siamo disposti a cambiare noi stessi e il nostro modo di pensare? E' un cane che si morde la coda...
Di pregi l'Italia ne ha tantissimi e indiscussi,bastano i difetti di "pochi" a togliere valore.
Direi che la legge del fare la condivido in pieno,è senza dubbio costruttiva e non la possibilità di confondere.
Mi hai piaciuto
RispondiEliminaChe bello.
RispondiEliminaGrazie.